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Heidi – Ultima Parte

today15 Dicembre 2022 12

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[…] Vi siete persi la prima puntata? Potete leggerla qui !

 

“Heidi, Heidi, ti sorridono i monti, Heidi Heidi le caprette ti fanno ciao!”.
Non mi volto per capire da chi arrivano le note stonate di una canzoncina inventata per farmi arrabbiare quando ero piccola, perché già lo so. “Peter!” lo saluto e lui continua a gracchiare. “Heidi eri triste laggiù in città!”. Finisce la sua esibizione quasi sotto il mio naso. Gli è cresciuta la barba a chiazze e beve molta grappa, per il resto è il solito scemo. Un tempo la cosa mi piaceva, quando pensavo che un uomo per starmi accanto dovesse farmi ridere.
“Non pensavo che saresti tornata…” dice con la boria di uno che pensa di sapere sempre tutto. “Peter, è morto il Nonno, mio nonno!”. Non è mai stato un tipo molto sveglio e a scuola confondeva le bi con le di. “Sì, ma tu te ne sei andata…” conclude con troppa facilità un discorso che chi non è mai uscito dalla valle non può capire. “Peter, ci sono delle cose imprescindibili…” mi giustifico. Sembra non capire il significato della parola. “Intendo che anche se me ne sono andata non vuol dire che non gli volessi più bene…” glielo spiego. “Se vuoi bene a una persona rimani” mi spara la sua. “Se vuoi bene a una persona accetti le sue scelte…” io ho la mia versione dei ricordi. “Te ne sei andata perché ho sposato Klara!” si pavoneggia. “A parte che l’hai sposata perché l’hai messa incinta, me ne sono andata perché il mondo non si conclude alla fine del sentiero che porta a Dörfli” gli spiego senza pensare che possa arrivare ad accettarlo. Non mi metterà degli stupidi sensi di colpa adesso che non c’è più niente da fare.

“Heidi, Peter! È arrivato papà!”. Klara ci richiama all’ordine. Purtroppo questa discussione non può essere conclusa e lui penserà sempre di avere ragione. Che sono scappata per non risolvere i problemi. E che magari gli spiriti maligni che hanno preso il mio posto in questa casa hanno causato la morte del Nonno. Lo lascio andare avanti e rimango in disparte. Franz si è portato con sé quel marmocchio sempre in movimento di suo nipote. Li lascio per un attimo comporre il loro quadretto famigliare. Li sento dire “Che sorpresa, non pensavamo saresti venuto!”. L’avevo pregato fino all’ultimo di accompagnarmi, ma poi il lavoro aveva avuto la meglio. Come sempre.
Franz si sgancia dal gruppo e viene da me. Sono seduta con i piedi a ciondoloni sull’altalena che mio nonno aveva costruito per me e Klara la prima volta che era venuta a trovarmi qui. Sotto di me si estende la vallata, il fili d’erba che sembrano un’unica coperta di velluto, le case che sembrano solo minuscoli puntini. In montagna, le cose lontane si tingono di blu. Se quando ero piccola questo mi faceva sentire onnipotente, ora mi fa sentire così fuori dalla civiltà, smarrita.
“Tu non sei venuta a salutarmi?” mi chiede Franz. Non gli rispondo. Faccio sempre così quando sono arrabbiata con lui. Blocca il movimento stanco dell’altalena per farsi dare ascolto. “Tanto tu ti vergogni di me!” alla fine gli rispondo. “Heidi, per favore!” sta cercando di non perdere le staffe, lo vedo dalla giugulare. “Ti ho chiesto di venire con me perché avevo bisogno di te e tu mi hai mandato da sola nella gabbia con i leoni!” sgancio la bomba. “Sì! E io sono qui” ribatte sempre cercando di mantenere la calma. In effetti, non ci avevo pensato. “Lo sai quanto odio la montagna, ma sono qui!” mi fa notare. “Klara penserà che sei qui per lei…” cerco di avere ragione. “Heidi, ti metti a fare gara con mia figlia ancora perché ha sposato il tuo fidanzatino?” mi chiede, ma come lo si domanderebbe a un bambino. Mi metto a ridere. In maniera del tutto imbarazzante devo ammettere che Franz, purtroppo, ha sempre ragione. Ed è il motivo per cui con lui mi sento al sicuro. Quando ero piccola mi sarei spinta sull’altalena con quanta più forza possibile sopra lo strapiombo per provare il brivido della paura. Da quando sto con lui so di non doverlo fare perché è pericoloso. Un conto è il coraggio, l’altro è la follia. Forse è proprio questo il succo del diventare grandi, tenersi stretti la vita e le cose che contano. “Dammi un bacio!” mi dice Franz. “Ma sei scemo? Che ci vedono tutti?” mi mostro stupita. “Allora chi è che si vergogna?” mi chiede e la mia risposta viene soffocata dalle sue labbra contro le mie.

“Ti fai un vecio?”. Qualcuno ci ha visto. “Peter, non dirlo a Klara, vorrei lo sapesse da me!” lo prego. “Tanto lo lascerai. Tu te ne fai uno diverso ogni settimana!” fa spallucce. Questa è la verità che si racconta lui. “Non credo Peter. Lo amo!”. Faccio una pausa. “Lo amo appunto perché ho avuto scelta!”.
“Non ti avrei mai guardato come ti guarda Klara, con la devozione di chi ti stima per i tuoi pregi e ti ama per i tuoi difetti. La nostra era una promessa tra ragazzini, l’Amore non dovrebbe essere un pegno, uno scongiuro, un obbligo. L’Amore ti viene spontaneo!” gli spiego un concetto intimo e probabilmente lui nemmeno mi ascolta. “Ti avevo portato i biscotti al burro di mia mamma, ne andavi matta!” dice sventolandomi un sacchetto di stoffa. “Non li mangio più!” alzo le mani al vento. “Ecco, appunto…” borbotta.
Capisce solo quello che vuol capire. “Peter!” lo chiamo. Io vorrei che lui potesse capire davvero, ma se ne va per la sua strada senza girarsi. Anche la sua camminata ciondolante è rimasta la stessa. Qui non cambia mai niente e chi ci abita vive tranquillo con questa sicurezza.

Quando me ne sono andata tre anni fa non avevo più fiato per sopportare la mancanza di ossigeno in quota. Pensavo che Peter fosse il mio universo. In realtà, possedeva solo la forma assoluta delle prime volte. Il primo bacio, i primi goffi approcci, la prima volta che mi sono sentita donna e che ho sentito il centro del mio corpo. Pensavo fosse l’Amore, ma semplicemente è stata la prima volta in cui ho dovuto muovermi per ritrovare il mio baricentro.
Klara, da quando aveva ricominciato a camminare, tornava a trovarci durante le vacanze estive e a Natale andavo io a Francoforte. In ogni lettera le raccontavo tutto nei minimi dettagli. Lei era la mia amica e ascoltavo solo i suoi consigli. Fino a quell’ottobre piovoso.

Ci sembrava strano vederla arrivare così, senza avviso e fuori stagione. Di solito, suo padre ci faceva recapitare un telegramma giù in paese con una somma di denaro per il disturbo. Klara, inoltre, studiava, avrebbe dovuto diventare un’infermiera, e non avrebbe mai lasciato la scuola per una vacanza. Mi preoccupai. “Klara, che c’è stai male? Sono ancora le tue gambe?”. Scosse la testa. Poi si mise a piangere. Che cosa poteva esserci di peggio di non poter correre? Non è forse la prima reazione alla paura?

Come tutti i giorni, Peter era arrivato per aiutare il Nonno. Io avevo appena cominciato a fare la maestra alla Scuola Elementare e si doveva organizzare il mio spostamento nella casa di Mayenfeld. Ma quel giorno il Nonno l’aveva chiamato dentro casa. E come tutti i giorni era arrivato in ritardo . Il Nonno voleva finire i lavori in giornata e il brutto tempo lo rendeva nervoso. Io e Klara li stavamo aspettando all’uscio sotto lo stesso ombrello.
Sentii il Nonno sbattere qualcosa contro il tavolo.

Klara mi guardò negli occhi. Nei suoi c’era il riflesso di una vita che non avrebbe più potuto essere la sua. “Sono incinta!” mi confessò. E non ci fu nulla da spiegare. Questo voleva dire che Peter, il mio tutto, il più bello di tutti, l’estate prima aveva preferito i modi civettuoli della ragazza di città al mio senso pratico. Quando eravamo piccoli Peter era talmente geloso della mia amicizia con Klara che gli buttò la sedia a rotelle giù per un dirupo e fu per quel motivo, per la mancanza nella necessità, che Klara iniziò a camminare. “Sei una falsa!” le rinfacciai “Come quando ti lagnavi di non poter camminare!”.
Ci trovammo attorno a un tavolo in quattro: io , il Nonno, Peter e Klara. Parlò il nonno. “Sarebbe come minimo di rispetto verso il signor Seseman che vi sposaste in fretta!” propose una soluzione. “Ma che sposarsi? Non si amano!” urlai e il Nonno continuò come se non mi avesse sentito. “Potete aggiustare la casa qui davanti, andrà bene per tre!”. Era più un ordine che un’opzione. “Era di mio padre quella casa, è mia!”. Il gran casino era loro e punivano me. “Vuoi fare la sua fine, Heidi?” mi chiese il Nonno indicando Klara. I due rimasero in silenzio e obbedirono al Nonno. “Adesso sparite dalla mia vista!” gli ordinò il Nonno che, comunque, avrebbe continuato ad aiutarli fino al suo ultimo giorno di vita, perché non giudicava il loro comportamento, ma pensava al mio cuore spezzato. Mi avrebbe ucciso come era successo a mia madre?

Restammo soli. “Ho pensato anche a te, piccola mia!”. Lo guardai senza capire. “Ho chiesto al Signor Seseman un impiego per te in città. Andartene ti farà bene…” mi spiegò. “Nonno, ma io voglio rimanere con te!” piagnucolai. Ogni volta che mi allontanavo dai nidi delle aquile di notte non dormivo. Il dottor Classen, il medico dei Seseman, mi somministrava ingenti dosi di biancospino per non farmi andare in sonnambula. “Heidi, non potrai mai diventare una scrittrice se rimani qui!”. Mi fu improvvisamente chiaro che se fossi rimasta lì avrei dovuto spiare un’altra persona fare la vita che pensavo di meritare io. Avrei dovuto costruirmi un altro sogno. Se li guardo adesso, li invidio soltanto perché hanno avuto la possibilità di stare con il Nonno fino all’ultimo.

Lasciai il Nonno. Prima gli regalai Nebbia jr. Mi accompagnò fino al treno, godendosi un’ultima passeggiata in discesa con me. “Scrivimi!” si raccomandò “Almeno una volta alla settimana”. “Nonno, ma tu non sai leggere!” gli ricordai. Si mise a ridere. “Ognuno ha i suoi segreti…” mi parlava già come un adulto che parla a un altro adulto, non ero più la sua piccola. “Beh, non ti è mai parso strano che la Signorina Rottermeyer nel periodo in cui tu ti trasferisci a Francoforte va sempre alle terme di Bad Ragaz!? mi domandò. “La Rottermeyer è la tua fidanzata?” cascai dal pero. “Dato che la signorina Klara è uscita di casa, anche lei è libera di andare dove vuole, non trovi?”. Era felice. Il Nonno, finalmente, mi sembrò meno grigio. E, ancora una volta, la Signorina Rottermeyer mi diede una lezione.

Cominciai a lavorare nella libreria di Francoforte quasi subito. E quasi subito Franz Seseman venne a trovarmi. Era appena tornato dal matrimonio di sua figlia con Peter. Gli chiesi di non raccontarmi nessun particolare. Potevo morire al pensiero che avrebbe portato nelle sue mani delicate da straniera un bouquet dei fiori della mia terra. Le eriche selvatiche sempre tinte di porpora sono simbolo ambivalente di fedeltà e di solitudine. “Non è necessario che tu e lei torniate amiche, ma puoi perdonarla e andare avanti se no il rancore ti ucciderà” mi consigliò. “Tu la perdonerai?” gli chiesi. “Con il tempo!” mi disse guardando altrove. “Quando sono rimasto solo con lei, senza mia moglie, avrei desiderato non essere suo padre!”. Lo ascoltai senza dire nulla. “Anche lei ha dovuto perdonare la mia assenza!”. Cercai qualcosa che lo consolasse. “Peter è una testa di legno ma sa prendersi le sue responsabilità!”. Fu quello l’inizio. Capii che dovevo iniziare qualcosa di nuovo che non richiedesse per forza il benestare della mia famiglia. Capii che ognuno va dove vuole andare e il Mondo continua a girare ugualmente.

Il resto venne da sé. Franz veniva tutti i giorni alla chiusura. Andavamo a mangiare salsiccia e crauti in un posto vicino al Meno e poi facevamo una passeggiata fino al Duomo, l’unico posto ad avere una torre abbastanza alta dalla quale vedere le cime innevate. “Ti ricordi quando scappavi per andare a vedere le tue montagne dal campanile?”. Annuii, non senza vergogna. Ne avevo combinate tante di marachelle da piccola. Una volta, tra poco, volavo giù da una finestra. “Ti mancano ancora?”. Feci spallucce. Mi vergognavo anche di questo. “Dai, saliamo!”. A lui le mie fragilità non sembravano mai delle debolezze. In quel periodo la nostalgia malata per la montagna che avevo da bambina sparii del tutto. Lasciò spazio alla paura di scoprirmi complice con un uomo che chiamavo per nome nel buio della sua stanza da letto. Franz mi ha insegnato quello che né il Nonno né la Rottermeyer potevano insegnarmi. Mi ha insegnato che l’Amore che toglie il fiato va bene solo per i romanzi d’appendice.

Franz lavora nel campo dell’editoria, è per questo che viaggia molto. Viaggia per scoprire nuovi manoscritti, come i pirati alla ricerca di un tesoro . È stato il primo a leggere qualcosa che avevo appuntato velocemente a matita su un tovagliolino di una pasticceria.“Vorrei fare una scrittrice, sì ma è una cazzata!”. Gli dissi mentre lo teneva in mano con cura. Sembravo una scolaretta. “Scusa!” raddrizzai il tiro e gli strappai il foglietto. “Mi chiedi scusa perché dici le parolacce?”. Mi prese in giro come ogni volta che sproloquiavo nel mio dialetto svizzero. “No, perché c’è un errore!”. In effetti, mancava la dieresi su una vocale. “Scusa, è una cazzata perché tu sei abituato a leggere le cose di quelli veri!”. Ero a disagio, come se mi avesse scoperta a rapinare una banca . “E tu sei finta? Non sei una persona, forse? Una persona che può tenere una matita in mano e che sa come mettere insieme delle lettere per formare delle parole?” mi domandò con la sua sicurezza da uomo. Annuii e sorrisi.
“È colpa di tua madre!” gli ricordai. “Era una vecchia testona, mia madre!” rammentò l’eccentrica donna che gli aveva dato la vita. “Come te!” lo presi in giro . “Io non sono vecchio, ragazzina!” fece finta di arrabbiarsi. Mimai con le mani il pochino di misura della sua vecchiaia. Quando arrivai a Francoforte da bambina non sapevo nemmeno leggere e tutti mi ritenevano una selvaggia scimunita. L’unica a credere in me fu la Nonna. Mi insegnò a leggere e a scrivere. E quando ne fui capace, mi disse che le storie me le dovevo raccontare io.
“Che cosa vorresti scrivere?” mi chiese Franz. “Storie per bambini!” dissi con sicurezza. “Favole? mi passò il termine. “No, storie di bambini per bambini” lo corressi. “Vorresti che gli altri le leggessero?” mi domandò qualcosa di inaspettato. “Perché? Si può?” chiesi io, che non pensavo che il mio sogno potesse essere un desiderio. Fu così che le mie storie cominciarono a circolare sulle riviste più alla moda delle maestrine di città.

“Va tutto bene, Heidi?” mi domanda Franz vedendomi tornare preoccupata sull’altalena. Peter è già fuori dalla sua casa, sta parlando con Klara che gli restituisce in braccio loro figlio.
“Peter lo dirà a Klara, Franz!” gli dico senza fiato. “Ci toglierà dall’imbarazzo!” ribatte lui serafico. Certe volte penso che niente lo possa scalfire e questo mi innervosisce. “Trovi imbarazzante stare con me!?”. So che non intendeva dire questo, ma mi va di provocarlo. “Heidi, ma cos’hai oggi?” mi chiede preoccupato. “La Rottermeyer mi ha detto che hai pure dato di stomaco… Esiste un dottore qui?”. Respira per non innervosirsi. “No, solo capre!” scherzo. Ci manca solo che la Rottermeyer faccia la pettegola! “Vendilo, Heidi, ti stai ammalando come a Francoforte quando eri piccola!”. Si riferisce al mio libro.
Sto scrivendo un’autobiografia sulla mia infanzia tra Mayenfeld e Francoforte. Mi sono stancata delle storielle inventate e voglio scrivere un libro che possano leggere tutti: uomini, donne e bambini. Un libro che rimanga avvincente anche fra cent’anni. “Conosco una tale di Zurigo che lo comprerebbe!” cerca di convincermi. “Ma chi? Johanna? La figlia dello strizzacervelli?”. Non lo venderò mai. “ Dai, Heidi ancora quella faccenda…”. Mi ha chiamata la bambina con le guanciotterosse, quella stronza! “Tu sei la mia bambina con le guanciotte rosse e guai a chi dice il contrario!” dice e ride di gusto . Allora lascio la presa e mi stringo forte a lui per non piangere.

Il nostro abbraccio è interrotto da una voce. “Dai, Heidi, anche con mio padre?”. Klara ha saputo da Peter che ho una relazione con suo padre. Al posto suo, io mi sarei armata di una scure. “Cosa significa anche?”. Franz sembra smarrito. Qui pensano tutti che a Francoforte io mi prostituisca. Invece no, faccio la scrittrice – che non è come coltivare la terra – ma mi dà la garanzia di avere del denaro mio con il quale posso comprare quello che mangio. Non tutto quello che può avere una donna deve essere dato da un uomo. E non tutto quello che ti dà un uomo, poi, deve essere restituito, in qualche modo. E, di fatto, ci sono stati solo tre uomini nella mia vita: mio Nonno, quello che ci sarà per sempre, Peter, il primo e Franz, l’ultimo.
“Lo sai che mi ha detto la Rottermeyer? Che si è fatta ingravidare come una vacca!”. Klara cerca di spiegare la situazione a suo padre come se io non fossi presente. Io lo guardo e alzo le mani. Sono una strega all’Inquisizione, bruciatemi viva!
Franz ride. “Klara, tesoro …” cerca di ammaccare. Anche io mi metto a ridere. Klara ci chiede indispettita “Perché sghignazzate tutti?”. Franz posa una mano sulla mia pancia. Le vorrei dire tante cose, ma tutte quelle cose sono già vita nel mio corpo.

Il mio animale preferito è la volpe. Quando ero piccola ce n’era una che veniva ogni sera alla nostra porta. Sapeva di trovare cibo e qualche coccola. Tornava perché si fidava, ma se ne andava perché non era un cagnolino. La sua casa era il bosco e lei non poteva essere del tutto addomesticata. Così, quando lei sgozzò le galline del nostro pollaio, mentre io piangevo disperata in preda alla collera, il Nonno mi disse “è la sua natura!”. [fine]

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Scritto da: blog_user

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